Parliamo non soltanto del costo annuo della consulenza ma del dettaglio di tutti i costi, nessuno escluso: tutto deve essere esposto in totale trasparenza secondo quanto ulteriormente regolamentato dalla normativa MiFID2. Dai costi d’ingresso a quelli di uscita, dalle spese di consulenza alle eventuali penali, dalle commissioni di gestione a quelle di performance (se presenti). Queste ultime sono particolarmente insidiose in quanto possono comportare costi aggiuntivi anche in presenza di perdite e meritano quindi un approfondimento.
Come evitare cattive sorprese? Occorre verificare tre punti essenziali. In primo luogo accertare la frequenza del prelievo delle fees, il “periodo di reset” che gli organismi di controllo europei prevedono deve essere annuale: più è alta questa frequenza più è alta la probabilità di pagare la commissione a causa degli alti e bassi del mercato. In secondo luogo il benchmark di riferimento, ove presente, deve essere coerente ed adeguato: ad esempio non va a vantaggio del cliente utilizzare un tasso interbancario come riferimento per un fondo azionario. In terzo luogo va accertata la presenza di “meccanismi di highwatermark”, nome complesso che però indica la possibilità di escludere che vengano prelevate nuove commissioni di performance finché i risparmiatori non abbiano recuperato le perdite pregresse.
In alternativa, la soluzione forse più semplice, è orientarsi su fondi che a parità di altri costi non applichino commissioni di performance.
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